Articoli su Giovanni Papini

1982


Francesca Petrocchi D'Auria

Filosofia, cultura e problematica religiosa nel rapporto tra Giovanni Papini e Alessandro Casati

Pubblicato in: Critica letteraria, anno X, fasc. III, N. 36, pp. 477-503
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Data: giugno 1982



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   Alberto Monticone in un articolato ed esauriente profilo di Alessandro Casati ha sottolineato come egli appaia «schiettamente uomo del Novecento [...] uno di quei personaggi che, apparsi sulla scena quasi tutti insieme ad apertura di secolo sospinti da comuni ansie di rinascita civile, morale e culturale, hanno percorso poi strade diverse, segnando però con la personale vicenda le linee del cammino dell'Italia» 1.
   Il carteggio inedito Papini-Casati 2, da noi ricostruito, proprio per la natura stessa, privata e confidenziale, permette dì segnalare adeguatalmente le «ansie comuni» e «le strade diverse» di questi due intellettuali, coetanei, ed entrambi assai rappresentativi nella storia e nel cammino culturale del nostro secolo.
   In più, il carteggio offre anche l'opportunità di aggiungere un nuovo e cospicuo tassello alla comprensione del fitto mosaico di intrecci, di relazioni, di interscambi tra il «gruppo» toscano de «La Voce» e quello milanese de «Il Rinnovamento», per divenire elemento integrante,


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a tutta una serie di epistolari afferenti ai due gruppi, già in parte pubblicati 3.
   Nella vicenda umana e culturale di Papini l'amicizia e la collaborazione con Casati, viva particolarmente negli anni 1906-1912, appare, dalle resultanti offerte dal carteggio, assai significativa. La diversità dei, temperamenti della provenienza sociale e culturale, dei cammini umani, non impedì certo uno stretto rapporto affettivo e di reciproca confidenza e stima, attraverso il quale, pur serbando entrambi la propria spiccata personalità, si venne a stabilire un legame di amicizia «costruttiva», aperta ad un personale chiarimento delle ansie delle scoperte, del cammino interno dei due personaggi.
   L'incontro tra il giovane fiorentino ed il nobile milanese avviene nel novembre 1906, a Milano, durante una sosta di Papini in viaggio verso Parigi: «Caro Signore, sarò venerdì sera a Milano e vi resterò alcuni giorni. Avrei molto desiderio di vederla. Se Lei ne ha soltanto un poco mi mandi un biglietto fermo Posta a Mil[ano] indicandomi un appuntamento tra il 24 e il 28. Mí creda intanto suo G. Papini. Ha ricevuto Il Leonardo?» 4. E Casati: «Caro Papini, Dopo tre anni di conoscenza spirituale, ecco che mi é dato finalmente di conoscerla di persona! Sarò in città domenica 25. Potremo trovarci al Circolo Filologico [...]. Ho ricevuto l'ultimo Leonardo: una nuova lanciata di idee! Più e meglio a voce » 5.
   L'incontro appare fortunato: Casati infatti accompagna Papini a Parigi trattenendosi nella capitale francese per alcuni giorni; al suo rientro a Milano riceverà da Papini dettagliate informazioni sui suoi contatti con Bergson, Boutroux, Ribot, Remy de Gourmont. Si viene ad avviare in quei mesi uno stretto e fecondo rapporto sul piano culturale ed affettivo destinato a rimanere immutato, anzi approfondito negli anni seguenti che vedono Papini e Casati impegnati in una serie di iniziative, per molti versi, comuni: «Il Rinnovamento», «La Voce», «L'Anima», le collezioni dirette da Papini.
   Il carteggio offre così l'opportunità di seguire «dall'interno» la partecipazione di Casati alle vicende culturali del gruppo fiorentino, in


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particolare a «La Voce»: e va segnalato come la corrispondenza con Papini non rechi tracce della presunta pressione ideologico-politica 6 svolta da Casati nei confronti della fortunata rivista prezzoliniana; i richiami, gli appunti, i consigli che quest'ultimo esterna a Papini, sono piuttosto rivolti in vista di una organica e ben orchestrata «programmazione» della irruente e vivace vena intellettuale del fiorentino: programmazione anche «professionale», dato l'alternarsi in Papini tra il 1906 e il 1912 di interessi, e tensioni, ora volti alla filosofia, anche in vista di una possibile cattedra universitaria 7, ora verso la letteratura o l'organizzazione culturale. Lo stesso Papini così si confida, nel febbraio dell'11, all'amico milanese sempre pronto ad inviare note bibliografiche e riferimenti critici: «Ti ringrazio delle notizie sul Monti, per quanto sia ora - in un momento antierudito... Così mi accade spesso. A settimane poeta; a settimane topo e non faccio né grandi opere di creazione né grandi opere di erudizione. Ma tu conosci il mio male e non ho bisogno di far piagnistei con te. Quando sono, come ora, in un periodo di effervescenza lirica e romantica mi par tanto facile buttare in Arno le schede e fare cose per le quali gli altri siano obbligati a scriver di me! E dopo... » 8.
   Ed ancora, nel dicembre dello stesso anno: «Ho pensato bene ai casi miei ed ho riconosciuto che per me le uniche vie che posson condurmi a qualcosa di solido son due: la storia della filoscda (cattedra) e l'arte (fama e un modesto guadagno). Oramai ho trentu'anno e non posso disperdermi. Finché avrò speranza lavorerò in tutte e due le direzioni ma solo in quelle, (...) mi raccolgo, mi restringo, ammaino! e se debbo far lavori storici, preferisco farli in vista, ahimè, di una cattedra» 9.
   Ma il problema «professionale», in Papini maggiormente avvertito data la necessità di arrivare ad una sicura «sistemazione» economica 10, rivela al fondo, in entrambi, una passione (e un piacere) intellettuale


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in sintonia col multiforme panorama culturale, italiano ed europeo, di quegli anni. Il carteggio rivela così, talvolta in uno scheletrico appunto o in una breve segnalazione, l'ampio ed articolato dispiegarsi di una fitta rete di studi, di ricerche o di appassionate letture nel campo filosofico e letterario, moderno ed antico, di sollecitazioni e di richiami, il cui inquieto disordine «esterno» mette in luce una sorta di «ansia vorace», di conoscenza vigile e documentata degli stimoli che animano la cultura del tempo.
   Da un lato la vivace e singolare «intelligenza» di Papini, dall'altro la folta ed erudita, quasi capillare, «bibliofilia» di Casati. Ma l'affinità tra i due coetanei si caratterizza ancor di più nel voler entrambi indirizzarsi ad una concreta azione, ad un impegno diretto, sul piano culturale: anche se proprio nel concretizzarsi di questo atteggiamento le diversità degli scopi di fondo, e della resa «effettiva» di essi, verranno fuori con evidenza.
   Le possibilità creative del singolare binomio Papini-Casati si accompagnano sin dall'inizio dell'amicizia all'affinità elettiva: durante il soggiorno parigino del 1906 viene elaborata la struttura di una collezione di classici del pensiero antico e moderno che resta a livello di puro progetto per il sorgere di un conflitto «editoriale» con la casa editrice Sandron 11. Il prospetto di massima steso da Casati rivela il significato interno dell'operazione culturale: «mi pare che sia il caso — non di rinunziare alla nostra collezione, ma piuttosto di modificarne il tipo in vista di quella del Sandron, che sarà di carattere soprattutto scolastico e informativo. I nostri volumetti più che bio-bibliografici dovrebbero essere interpretazioni personali di pensatori celebri e ignoti, molti dei quali non troveranno posto nell'altra collezione» 12. Le rivisitazioni «personali» ed organiche dovevano appuntarsi, nella bozza di programma, su Berkeley, «affidato» a Papini, Hume (Prezzolini), Hamann


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(Assagioli), Giordano Bruno (Righini), Socrate (Gallarati Scotti), Maine de Biran (Casati): in nuce alcuni titoli della successiva collezione carabbiana diretta da Papini dal 1908: e resta evidente, soprattutto per Berkeley, Hamann e Maine de Biran, la presenza di pensatori «chiave» nella ricerca filosofica del gruppo milanese.
   Al tempo medesimo già dalla prima iniziativa «comune» si viene a delineare un aspetto interessante relativo al rapporto tra i due giovani intellettuali e destinato, con «Il Rinnovamento», «La Voce», «L'Anima» e le collezioni dirette da Papini, a concretarsi nel tempo: l'intrecciarsi di una serie di iniziative che favoriscono un'azione comune dei due gruppi, una sorta di «patto d'alleanza» tra i giovani cattolici vicini a Casati e le menti più vive dell'ambiente fiorentino. I presupposti teorici e religiosi che sono al fondo dell'esperienza del foglio modernista, un impegno etico e culturale tale da rivivificare quello religioso e mistico, l'ampia e profonda apertura ai problemi filosofici più attuali e non solo di ambito religioso, fanno sì che Casati guardasse con fiducia alla collaborazione dí Papini e degli amici fiorentini alla proposta culturale elaborata in ambito milanese, e dall'altro lato, la varietà delle attitudini intellettuali di Papini e lo sviluppo fervido e «poliedrico» dell'attività dei toscani favoriscono un tentativo di fusione, riuscito ne «La Voce», che mostra come la cultura primonovecentesca «in cerca di se stessa» 13 sia disposta ad aperture che rompano il fronte regionalistico, anche provinciale, in cui si trova allora rinchiusa. In Papini (siamo al termine delle pubblicazioni de «Il Rinnovamento» e nel momento di maggior efficacia e duttilità dell'esperienza vociana) si fa strada anche il desiderio di una più sicura consapevolezza organizzativa, ma anche teorica, tale da determinare con l'unione delle forze comuni un vero e proprio movimento culturale di ampia portata e di notevole influenza: «Con un giornale settimanale, una rivista mensile e quattro o cinque collezioni in mano nostra si potrebbe avere sul serio una certa influenza in Italia e le nostre voci non potrebbero essere facilmente soffocate» 14.
   Seguendo questo aspetto, la storia interna di alcuni capitoli centrali della nostra cultura, scandita dal ritmo sostenuto del carteggio negli anni 1906-1912, rende evidente una serie di nodi, di comunicazioni, che si aprono anche alla cultura europea, da vagliare attentamente per ricercare le spinte di base che favoriscono il processo di interscambio, nel sottolineare quand'esse camminano entro un terreno unitario o quando invece prendono forza e si sviluppano seguendo cammini paralleli. Ed


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ancora, proprio nella realizzazione delle istanze intellettuali, è possibile individuare come esse si prospettino diversificate non solo sul piano dello «specifico» culturale ma piuttosto come soluzioni terminali di una personale risposta alle problematiche religiose, filosofiche, ideolologiche ed artistiche in cui si dibatte l'intellettuale primonovecentesco.
   In questo senso l'itinerario di Papini e di Casati appare emblematico; il terreno comune è assai ricco di sollecitazioni intellettuali e spirituali, le dissimili personalità e le scelte di fondo, sostanziali, determinano lo svolgersi di un impegno sul piano culturale diverso, ma che comunque può essere ricondotto ad un nucleo centrale, che è poi quello caratteristico degli uomini di cultura del tempo: la ricerca del ruolo dell'intellettuale nella società moderna, in cui si agitano stimoli riflessivi e conoscitivi tali da «frantumare» pur solide impalcature di conoscenza e di «progetto».
   Così gli inviti di Casati ad una programmazione attenta ed equilibrata della ricerca teorica nel campo filosofico di Papini, che si appresta a far partire i primi numeri de «L'Anima» 15 non devono esser letti come momento di affettuosa ma anche severa «partecipazione», quanto piuttosto come tentativo di sanare, in qualche modo, il «male» interno di Papini, di «costringete» l'irrequieta vena di «cercatore» del nostro entro i limiti di una ricerca filosofica rigorosa che sembra costantemente sfuggirgli di mano.
   Ma è proprio l'inquietudine interna che accomuna Papini a Casati, l'ansia di comprensione e di chiarificazione delle personali istanze umane e intellettuali che in quest'ultimo trovano momenti di quasi ricercato esame riflessivo: l'esperienza de «Il Rinnovamento» se in parte viene incontro alle urgenti richieste religiose del lombardo, determinò al tempo stesso l'affiorare di un malessere, di una crisi interna che rende più viva la pagina scritta dai modernisti nella storia della Chiesa, ma finì per lasciare, nella coscienza di Casati e degli amici de «Il Rinnovamento», una vera e propria «ferita non chiusa». Così anche dalle lettere di Casati vien fuori l'oscillazione, meno forte che in Papini, tra i diversi poli di attrazione culturale che egli tenta di concretare, nel 1909, nel sogno, mai realizzato, di una storia d'Italia dalla metà del 1700 ai primi del secolo. Riteniamo interessante riportare quasi per esteso la lettera in cui Casati mette al corrente Papini del suo progetto, perché ricca di


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intonazioni e di accenti che chiariscono l'atteggiamento di fondo, sul piano strettamente culturale, del giovane Casati: «Faccio grandi letture al mio solito, ma come da tempo non mi capitava più, m'accendo a quel che leggo; mi ci appassiono come da ragazzo, e se alzo a tratti la testa dal libro non è per sbadigliare ma per seguire i miei fantasmi. Cosa leggo? Poco o niente filosofico, e in compenso di molta storia. D'ora innanzi alternerò i due studii ma della filosofia mi gioverò solo per meglio comprendere la storia. È il mio mestiere. Non ho un cervello da metafisico, ma non so far a meno di idee; e queste mi piacciono animate e vissute, nel contrasto del mondo, disgustato dagli uomini. [...] Ricordo un tuo grande sogno di una notte d'inverno: scrivere la storia delle Idee Massime, dalle antiche cosmogonie all'Evolution Créatrice di Bergson. Io invece non vorrei sollevarmi da quella media umanità che scrive le idee e se le baratta e le muta per trasmetterle di nuovo, quasi irricono¬scibili ma assai più ricche di pensatori. Ma, un libro ce in mente anch'io. E, poiché sono italiano e voglio molto bene al mio paese, sarà un libro sull'Italia di questi ultimi centocinquant'anni. Fin qui niente di nuovo; prenderei posto dietro al Gioberti, al Balbo e all'Oriani. Ma dai due primi mi separa più di mezzo secolo di tempo, e dall'ultimo una diversa concezione della vita e una diversa esperienza. Non parlerei solo di quanto s'è pensato detto e operato fra noi ma anche di quanto non s'è pensato ecc. Qualcosa di simile al Tocqueville e al Taine; ma ripeto, con diverso spirito. Ci lavorerò dieci anni per assicurarmene circa una cinquantina dopo la morte. É un buon affare» 16.
   Il recupero della grande tradizione storica ed etica del Risorgimento, vista anche come nuovo impegno della giovane generazione a raccogliere l'eredità civile e morale del recente passato, ed il forte impegno di carattere religioso non lasciavano però il Casati negli anni fervidi de «Il Rinnovamento» e de «La Voce» privo di incertezze sulla strada da percorrere per concretizzare la spinta all'impegno culturale che profondamente avvertiva. Lo stesso Papini, nell'avallare il progetto «storico» dell'amico, si sentiva in dovere di sollecitare una scelta decisiva e sicura tale da acquistare il carattere di una vera e propria «salvezza» dal «male» comune: «Se tu pensi sul serio a quel libro sei salvo. Tu puoi farlo bene e non lo farai se non bene. Le tue letture passate e presenti non bastano, ma son già una buonissima preparazione. E prevedo che non sarà solo sul pensiero ma sull'arte e la politica e la religione — sul meglio della vita italiana. Tutto sta che tu non dimentichi questo per altri più allettanti sogni o che tu seguiti a passar la vita tra l'erudizione e gli scrupoli, tra gli ondeggiamenti e i pentimenti, tra la voracità troppo


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sparpagliata e la disappetenza ingiustificata. Tu hai tutto: gioventù, ingegno, libri, quattrini. Ti manca forse la salute» 17.
   I problemi e le aspirazioni dei, due si evidenziano, nelle pagine più aperte e confidenziali del carteggio, attraverso un sottile gioco di specchi in cui talvolta si determina una compenetrazione delle immagini; l'intimo «rovello» di Casati è condiviso, anzi vissuto con eguale partecipazione da Papini: «Dunque coraggio, amico e fratello mio! Aspetteremo, taceremo, soffriremo, ma alla fine qualcosa di buono e di grande deve pur venire fuori! Le mie 'disgraziate vicende' son di varia specie. La più grave, almen per me, è quella di non riuscire a perfezionare e correggere il 'rapporto sugli Uomini' che finii di scrivere in campagna e che a F. ho quasi del tutto trascurato; sia per darmi a lavori di erudizione, sia per i maggiori perditempo della città (...) Ora lavoro molto per finire i lavori che non posso fare che quaggiù e dopo tornerò in campagna a lavorare al R. sugli U. e ad un altro libro d'arte (una specie di romanzo tragico interno) che ho ideato» 18.
   Ma nel momento in cui gli stimoli riflessivi prendono forma, le due figure finiscono per rimanere ben distinte, a partire dalle «simpatie», o dai modelli, in ambito letterario: «il mondo di Claudel è abitato non da idee ma da uomini che amano e soffrono [...] Prezzolini quando passò da Lausanne era entusiasta di Claudel, poi mutò parere su di lui dopo averne discorso con Rolland. Non capisco perché. Io ho letto Claudel con molta diffidenza da principio; poi mi son dovuto convincere che l'enfasi nei suoi drammi tien luogo di pausa, che è una specie di stanchezza che lo prende fra un fremito e l'altro. Non so se hai provato la stessa impressione» 19. E Papini: «Ritenterò per la terza o quarta volta di leggere Claudel ma ci ho un'antipatia che forse non riuscirò a vincere. Io ho paura che se vo di questo passo odierò non soltanto la letteratura letteraria ma addirittura la prosa, anche semplice per il solo fatto ch'è prosa, racconto, specchio, rappresentazione e ordinamento in parole di ciò che è, della realtà solida, concreta, vivente» 20.
   L'affiorare delle diverse soluzioni appare più netto sul piano dell'azione


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e programmazione culturale, che non è puramente diversità delle attitudini intellettuali, quanto piuttosto diretta conseguenza di cammini distinti sul piano delle soluzioni filosofico-culturali, pur delineatesi con sempre maggiore chiarezza su di un'area problematica comune.
   Così all'avvio de «La Voce» Papini, con tono sostenuto e non privo di punte polemiche, invita l'amico milanese ad una maggiore consapevolezza degli obiettivi su cui deve incentrarsi la sua azione di intellettuale cristiano e manifesta, oltre al riconoscimento della validità ed attualità dell'iniziativa vociana, alcuni ben calibrati «distinguo»:
   «A Firenze [...] ho visto invece lunghe epistole tue a Prezz.[olini] circa la rivista. Le cose che tu dici sono, quasi tutte, giustissime e son d'accordo con Prez. nel ritenerti una buonissima e sana testa di consigliere e progettista. Però... però pensando a certe nostre serali conversazioni milanesi, pensando a quel che ti proponi o ti proponevi col 'Rinnovamento' io mi sono un po' stupito che tu così minuziosamente e diligentemente ti occupi di un'impresa la quale, per quanto buona, desiderabile, utile e ottima, non può essere in cima ai pensieri tuoi, mentre d'altra parte non fai abbastanza per cose che dovrebbero esserti piu a cuore.
   Mi spiegherò meglio: la rivista di Prezz. ha fini e caratteri intellettualistici e storici e filosofici. Tu stesso, nei tuoi suggerimenti, miri a farne una specie di archivio per lo studio della cultura italiana e che so io — insomma qualcosa come un'appendice, una completazione, una valorizzazione, della 'Critica' o un 'Marzocco' filosofico. Lasciamo andar questo: data la rivista com'è concepita è bene che sia così.
   Ma vie più ch'io mi guardo intorno (anche vivendo tra i contadini) mi persuado maggiormente che l'opera più importante, ora, è quella MORALE. Il nostro popolo, te l'assicuro io, va male, peggiora moralmente ogni giorno, per un'infinità di cause (spirito anti religioso, mezza cultura, moti economici, emigrazione ecc.) e il dovere massimo di un cristiano e di un uomo morale è di far quel ch'è possibile fare per rimediare a questo peggioramento, per rinvigorire moralmente l'Italia. Intellettualmente l'Italia progredisce — moralmente va indietro. E si fanno riviste intellettuali, e tu stesso, invece di pensare che ogni giorno c'è un uomo che perde una fede e acquista un vizio, che una generazione s'indebolisce e si guasta, pensi a raccogliere i materiali per una storia della filosofia italiana nell'ultimo quarto del secolo XIX o a far lo spoglio delle riviste letterarie passate! [...] La tua vecchia anima di collezionista, di bibliofilo e di erudito sta ricoprendo, mi pare, la tua nuova anima di cristiano, la tua eterna anima di uomo amoroso e morale!» 21.


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   Gli appunti di Papini appaiono estremamente interessanti e si ricollegano, come vedremo meglio più avanti quando esamineremo la posizione papiniana nei confronti de «Il Rinnovamento», ad una serie di appelli rivolti a Casati, come rappresentante del gruppo modernista, riscontrabili in più punti dell'epistolario. A questo punto, però, è necessario introdurre alcune considerazioni riguardanti l'adesione di Casati al progetto di Prezzolini, anche se non va dimenticato che i giudizi di Papini sono rivolti più alla fase preparatoria de «La Voce», nella quale si intrecciarono una serie di proposte. Il Monticone presta particolare attenzione ad una lettera di Casati al Gallarati Scotti del luglio 1908 22, che mostra come Casati pensasse di dare a «Il Rinnovamento», nell'anno successivo un taglio «più attuale e più vivo» 23 per far sì. che «gli effetti della elaborazione culturale potessero raggiungere un ambiente più vasto della società» 24. Elemento significativo, nel quale si può cogliere il senso dell'adesione di Casati a «La Voce» prospettato sul piano dell'effettivo congiungimento con l'esperienza de «Il Rinnovamento». Saldo e paziente lavoro di introspezione e comprensione culturale, condotto sul piano di un adeguato studio scientifico, apertura ideologica e culturale di vasta portata, testimoniata, come per il foglio modernista, dalla partecipazione di collaboratori di diversa estrazione intellettuale, ma diremo soprattutto spinta dall'impegno sul piano etico che in Casati informa in primo luogo l'esperienza religiosa: questi ci appaiono gli elementi determinanti della collaborazione di Casati a «La Voce». A questo punto gli appelli di Papini ad una azione concreta proprio sul terreno morale possono sembrare ingiustificati, se non si consideri l'effettiva composizione delle due posizioni proprio nell'ambito del «problema morale».
   Il terreno di partenza, come si vede, è comune, anzi diremo che appare la caratteristica degli intellettuali della generazione vociana. Ma il cammino che Casati e Papini, proprio in quegli anni, intraprendono, appare diversificato. Senza per ora toccare l'aspetto di tale problematica all'interno del movimento modernista lombardo, appare evidente nell'esperienza di Casati un impegno etico, già nel 1908, di matrice idealistica 25 alla quale l'orientamento interno e la scelta di fondo del milanese, il suo essere cattolico, aggiunge, per così dire, un elemento in più,


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quello appunto religioso, ma non nella pur ampia genericità del termine, anzi proprio come impegno cristiano, rinnovamento della coscienza religiosa, ripensamento problematico del ruolo del credente nella Chiesa e nella società del tempo, approfondimento delle ragioni di fede 26.
   Pur nel profondo travaglio inferiore cui si annoda anche un elemento caratteriale e psicologico 27 che non poco pesò sulla sua esperienza umana, la scelta di fondo di Casati (il cattolicesimo e la vissuta tensione religiosa) non ebbe il limite di una passiva e «facile» soluzione 28, ma al tempo medesimo evitò sperimentazioni e dispersioni, in quanto il movimento riformatore milanese rimase «lontano dalle radicali rotture o dagli equivoci accomodamenti che punteggiano la crisi modernista in Italia» 29, presentandosi ancor oggi con caratteri di viva attualità. Basti pensare allo «scatto» iniziale che determinò il sorgere del movimento modernista milanese, l'affidare ai laici il compito primo di intervenire «negli studi» ma anche e soprattutto nel programma religioso della comunità ecclesiale. Come giustamente nota il Monticone, a proposito della polemica sul modernismo determinata da un articolo


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di Slataper apparso su «La Voce» nel 1910 30 e dalle relative repliche di Casati 31, la posizione del milanese non ebbe il carattere di «uno schematico e preconcetto rifiuto dell'autorità e della gerarchia» 32, in quanto respinse «ogni identificazione con la ribellione, che si pone fuori e contro le istituzioni piuttosto che elaborarne dall'interno e 'storicamente' [...] una critica» 33.
   L'aspirazione «ad una nuova ed autentica religiosità» 34 si venne a costruire attraverso l'individuazione di salde e metodiche linee di interesse e sviluppo, che furono sintetizzate ed espresse da Casati già nel 1906 al, Gallarati Scotti, in una lettera che può ben configurarsi come documento pregnante della personalità e delle convinzioni del nostro, e degli scopi che sono al fondo de «Il Rinnovamento»: «Un approfondimento ed una 'emendatio' delle nostre credenze ed intuizioni — un senso nuovo della vita e dell'azione religiosa — un valore più verace e concreto dato alla tradizione — un accostamento ed integrazione parziale delle verità filosofiche nelle religiose — la concezione mobile e dinamica di esse — il dogma inteso nel suo storico sviluppo — la visione sintetica della storia del cattolicesimo, non discompagnata dalla ricerca particolare e dall'indagine minuta — un ritorno alle fonti spirituali della patristica e della mistica — una conoscenza più genuina e viva delle dottrine scolastiche [...] Si è a questa esplorazione storico-filosofica del cristianesimo e del cattolicesimo, a questo moto di rinnovamento, a questa fusione dell'antico col nuovo, che debbono tendere i nostri sforzi 35.
   Il taglio intellettualistico «storico-filosofico» che è al fondo de «Il Rinnovamento» ha favorito una interpretazione che sottolinea l'aspetto elitario 36 ed aristocratico del movimento lombardo, nel suo farsi portatore della fiducia accordata alla cultura 37 così presente nell'ambiente intellettuale del primo novecento. Ma se si guarda al peso e alle ripercussioni che la vicenda de «Il Rinnovamento» apportò sulle coscienze religiose dei partecipanti 38, al doloroso e sofferto travaglio


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interno che è ben testimoniato anche dalle lettere di Casati a Papini, all'essere la ricerca modernista così legata alle esigenze del cattolicesimo di quel tempo, e non solo italiano, — nel suo venire incontro ad una effettiva necessità di partecipazione in cui sono assenti criteri di «classe» sottolineando il ruolo primario della «coscienza individuale» del credente, tanto più urgente data l'effettiva conformazione della politica ecclesiastica di quegli anni ci sembra di poter condividere il giudizio di Cesare Angelini: «Un poco più su, ci siamo chiesti se stavamo facendo l'elenco dei temi trattati dal «Rinnovamento» o dei temi trattati dal Concilio Vaticano secondo. Là non abbiamo risposto, perché già miravamo a questo punto. Accettate o respinte certe posizioni del «Rinnovamento» non si può negare alla rivista il merito d'aver messo a fuoco problemi vivi della coscienza cattolica contemporanea; e i problemi non si risolvono se prima non si propongono, anche se il proporli importa inevitabili rischi e, per la loro soluzione, l'attesa di cinquanta o sessant'anni» 39.
   In Casati dunque l'impegno etico, sino alla sofferta esperienza della guerra, si fonde e dà vigore a quello religioso, come appare da un passo illuminante della lettera di risposta a nuovi appunti mossi da Papini 40 verso la struttura e la vita interna de «Il Rinnovamento»: «Le ragioni profonde che m'hanno fatto aderire ad un movimento religioso sussistono in me e in altri, e bisogna che siano soddisfatte. Certo, è necessaria una trasformazione, ma una trasformazione intima: una maggior fede in noi stessi e nelle nostre idee. Il male è morale, lo sento » 41.
   La diversità delle soluzioni sul piano dell'impegno etico può essere riscontrato in una serie di osservazioni e di incitamenti, che investono il problema del rapporto con la società, mossi da Papini all'amico milanese nell'agosto del 1908: «Il Rinnovamento sembra un po' sonnacchioso. Ora mi pare che una rivista simile o non bisogna farla o bisogna farla in modo che ogni fascicolo muova, ecciti, faccia pensare, leticare, gridare. Bisogna, caro Casati, accostarlo più alle cose di oggi, pur conservandolo rivista di studio. C'è ad es. la questione di Cristianesimo e socialismo [...] c'è quella dell'insegnamento della religione — quella della necessità di una propaganda puramente morale per arginare la


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crescente corruzione delle classi basse e alte; perché non parlarne, non prendere una posizione netta, non fare proposte concrete? » 42.
   Le argomentazioni espresse da Papini appaiono estremamente pertinenti; in effetti dopo la crisi del 1907 nella rivista «finì per prevalere, anche in connessione con la diaspora del movimento riformatore, la ricerca di una preparazione lontana, più distaccata» 43. Va però ricordato che nel luglio dello stesso anno Casati, in una lettera già citata al Gallarati Scotti, prevedeva di infondere alla rivista un carattere «più attuale e più vivo» proprio in direzione di una maggiore penetrazione della proposta modernista nell'ambito sociale.
   Casati rimaneva però fedele all'impostazione di base, espressa con chiarezza già nelle Parole d'introduzione 44 de «Il Rinnovamento» «noi non siamo dei predicatori di palingenesi sociale, non abbiamo promesse di felicità da distribuire [...] per riformare la coscienza di un paese bisogna cominciare a riformare delle coscienze, o per dir meglio bisogna condurle al punto in cui la verità stessa, che è nel profondo di ciascuna, le liberi» 45.
   Lo Scoppola ben sottolinea come, soprattutto riguardo al tema dei rapporti fra Stato e Chiesa, nelle pagine de «Il Rinnovamento» siano sempri vivi «il richiamo ai valori interiori come condizione essenziale di un autentico rinnovamento politico, il rifiuto di ogni confusione fra le due società che possa degradare la religione a strumento della politica» 46. In più va ricordato lo stretto collegamento, che passa attraverso l'azione di Gallarati Scotti, tra il progetto riformatore sul piano religioso e culturale portato avanti dalla rivista e quello più concretamente politico della Lega Democratica Nazionale: ne «Il Rinnovamento» è assente, anzi diremo che è fortemente avversato, il puro clericalismo,


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mentre l'azione della rivista è indirizzata verso una maggiore consapevolezza della forza interiore, trainante, scaturita da una rinnovata coscienza religiosa, che deve muovere il cattolicesimo politico. Sotto questa luce va valutata la polemica tra Casati e Prezzolini sulla scelta «politica» de «La Voce» nel 1911 47. Sarà la guerra ad infondere e determinare in Casati «una autentica svolta» 48, che lo conduce «ad abbracciare la causa della guerra-dovere con lucidità pari a quella con cui aveva inizialmente respinto l'idea della guerra-farmaco» 49.
   Il terreno entro il quale si determina e prende corpo la problematica e singolarissima linea di intervento papiniano è, come abbiamo detto, quello dell'impegno, comune, quindi, a quello casatiano, ma con strutture portanti, soluzioni di fondo ed atteggiamenti assai diversificati.
   Il carteggio in questo senso contribuisce ad un chiarimento di essi, ed offre l'opportunità di interessanti collegamenti, in particolare con Un uomo finito, talché i documenti confidenziali e privati e il rapporto con Casati possono divenire, a nostro avviso, «strumenti» idonei ad una cospicua comprensione della assai problematica figura di Papini.
   Così «questa mia irrequietezza perpetua che di nulla si contenta» 50 viene confessata all'amico milanese nel 1907: «Sono disgustato di me stesso. Sento il bisogno di ricominciar tutto, di riesaminar tutto e non so da qual punto partire. Non so trovare una solida ragione della mia vita — un centro immutabile della mia attività. Tu conosci forse questa tortura e comprendi come non si abbia voglia di far nulla — anche se le cose impegnate incalzano» 51.
   Ma, andando al fondo, il tener dietro di Papini a «certe aspirazioni dell'anima mia le quali non possono esser soddisfatte né dalle religioni tradizionali intese in modo tradizionale né dalle filosofie razionalistiche ora di moda» 52 appare, in un concatenato meccanismo di causa ed effetto, l'elemento scatenante e, al tempo medesimo, la risultante estrema del suo ribelle e «rivoluzionario» sperimentalismo.
   Rispetto alla «severa» e introversa anima del Casati la sete di «gloria», l'esaltazione individualistica di Papini, appare fortemente contrapposta: «Io voglio farmi un'anima grande — voglio diventare un


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uomo grande, un uomo puro, nobile, perfetto. (...) Ho bisogno d'esser più in su di voi per tirarvi ancora più su» 53.
   Dalla profonda e caparbia convinzione di una «nuova» e decisiva missione spirituale e dalla insoddisfatta incapacità di aderire ad un saldo complesso filosofico o religioso, scaturisce in Papini il «mio bisogno fisso di rivoluzionario spirituale: cambiare gli uomini, cambiare le menti» 54.
   E ancora in Un uomo finito egli rivela le motivazioni interne del rifiuto della filosofia, determinate dalla necessità della creazione di una filosofia non più contemplativa 55 o tendente alla ricerca dell'universale, bensì volontaristica e pragmatista: «Io volevo invece azione (mutamento, creazione) e perciò la realtà (realtà immediata, concreta, il particolare)» 56.
   Il «programma» è dunque chiaro: «cambiare gli uomini, cambiare le menti» partendo da una adesione e partecipazione profonda della realtà («Occorre entrarci dentro, inserirsi in essa, diventar parte di lei, atomo della sua massa, momento della sua durata, scintilla della sua fiamma, gocciola della sua corrente» 57), «farsi realtà viva nella viva realtà» 58. Ma anche «fare qualche cosa, agire, trasformare» 59 per gli uomini: «Qual'era il gran disegno della mia vita? Agire sulla specie, trasformarla profondamente, condurla dalla bestia all'uomo e dall'uomo a Dio» 60. Così si viene a configurare l'«apostolato morale e filosofico» 61 caratteristico di Papini che proprio nel 1909, parallelamente alla stesura


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del «romanzo tragico interno», gli urge di concretare, ma con l'aggiunta di quello artistico e culturale, in una rivista che nel programma espresso in quell'anno a Casati ha molti punti di contatto con la futura «Lacerba».
   Alla filosofia volontaristica Papini unisce infatti la spinta alla creatività che per il fiorentino segna il margine del suo distacco da «La Voce» «La Voce giova soprattutto per il lato pratico e spicciolo del movimento, ma non è creatrice. Tanto io che altri amici miei non possiamo servirci di essa per la nostra attività più personale, per tutto ciò che non sia polemica, critica, informazione o azione pratica. La V. anche per ragioni evidenti di spazio, bisogna che si limiti: quel che fa lo fa bene, ma non c'è in essa tutto quello di cui l'anima ha bisogno» 62.
   Così solo in apparenza il carteggio sembra indicare frizioni o diversità di atteggiamenti sul programma o sulla messa in opera di iniziative che entrambi si sforzano di rendere comuni: ma si tratta del resto di un equivoco nel quale cadono gli stessi protagonisti, i quali, spinti da una genuina e generosa affettuosità, tendono a guardare (e a giudicare) la personale diversità, più nella «forma» del proprio impegno e della interna esperienza umana ed intellettuale, che nella «sostanza». Cade cosi nel silenzio la proposta di Papini di affiancare Casati all'impegno finanziario «per una rivista mensile ch'io già da tempo ho ideato e che ora mi sarebbe necessaria più che mai» 63: ed è singolare che l'invito sia diretto al milanese proprio nella lettera in cui Papini prende atto dolorosamente della decisione di Casati di sospendere la pubblicazione de «Il Rinnovamento» 64.
   Il programma di massima descritto nella lettera preannuncia chiaramente «Lacerba»: «Uscirebbe in fascicoli mensili di 64 pp. con articoli di filosofia, fantasie, novelle, poesie, incisioni, schermaglie ecc. Una rivista libera, viva, magari pazza. Molto varia: con studi seri di storia accanto ad effusioni poetiche o a speculazioni religiose. Non si


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opporrebbe affatto alla V. (anzi l'appoggerebbe nelle sue campagne) ma la completerebbe, dando sfogo a tante cose che li non si possono o non si debbono dire» 65.
   Papini tenta quindi, libero ormai Casati dall'impegno de «Il Rinnovamento», dí spingere l'amico milanese verso un'azione culturale più ampia ed articolata che possa in qualche modo risolvere l'intima crisi di Casati: «Non mi sembra che il tuo spirito di cercatore inquieto e universale possa essere completamente riempito e saziato soltanto da ciò che il Rinnovamento rappresentava. Mi sbaglio? non c'è forse un principio di crisi personale in questa sparizione del carroccio modernista?» 66.
   Così, dopo l'iniziativa comune de «L'Anima», che sembra apparire più una soluzione di ripiego per Casati, caduto il progetto di rifondazione de «Il Rinnovamento», il cammino dei due protagonisti si viene ad indirizzare verso strade diverse.
   Casati, dopo la conclusione del lungo appoggio e collaborazione a «La Voce» «restava non spettatore disimpegnato, come da taluno era stato accusato, bensì osservatore che coscientemente rinunziava alle transazioni o compromissioni con le istanze culturali e politiche del momento, arroccato in una sofferta solitudine intellettuale» 67. Papini si orientava verso l'iniziativa editoriale della SELF, causa di uno screzio con l'amico milanese 68, poi, con «Lacerba» lascia spazio all'antico sogno di rivoluzione culturale. Sarà Casati, con una significativa missiva del dicembre 1914, ad interrompere, per un attimo, il silenzio: «Così si fanno le amicizie dopo i trent'anni; senza abbracci né baci, per urto o scambio di idee, e si trasformano quelle che nacquero tormentate nella giovinezza. Tanto che, se io cerco di te, ti ritrovo in due o tre capitoli dell'Uomo finito e nelle Precipitazioni che mi piacciono assai (meno, molto meno la più comunemente lodata poesia della Voce, I miei amici, La mia strada, in cui la composizione letteraria e, direi quasi, la cura dell'aggettivazione diminuiscono di valore il sentimento dolorante che sta


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in fondo ad esse). Ma, che cosa potrò io mai renderti in cambio? Lascia dunque ch'io ti scriva, anche breve, di quando in quando; e tu non rispondere, se vuoi, al tuo affezionatissimo [...]» 69.
   Altrettanto illuminante la risposta di Papini: «Caro Casati, siamo tanto lontani! Tu, almeno, leggi qualcosa di quel che scrivo e puoi arrabbiarti o divertirti o attristarti vedendo questi pezzi o stracci dell'anima mia stesi su carta. Ma io? 70.
   Al di là delle scelte, l'effetto rimane costante; cosi, nel giugno 1915, in preoccupanti difficoltà finanziarie, Papini ricorre all'aiuto del vecchio amico milanese, riaprendo l'animo alla confidenza di un tempo 71; ma sarà dopo la guerra che l'amicizia antica troverà un motivo in più per essere rivivificata: la conversione di Papini.
   Il carteggio con Casati, visto come pregnante documento di «momenti» interiori ed «esterni» dell'esperienza papiniana, offre anche stimolanti riflessioni ed approfondimenti riguardanti la problematica e gli interessi religiosi di Papini, e punti di contatto con una serie di «confessioni» espresse nelle due «autobiografie», Un uomo finiío e La seconda nascita.
   Il soggiorno di Papini a Milano proprio nel momento di massima tensione delle vicende interne dei modernisti lombardi, le numerose e qualificate letture (come ben mostra l'epistolario) dei lontani o vicini teorici modernisti, Loysy, Tyrrel, Neumann, Von Hügel, che egli compie in quegli anni, spinto da quella sorta di «voracità» intellettuale e conoscitiva che lo contraddistingue, stimolato dalle discussioni che animavano il gruppo milanese, seguono di poco e vivacizzano il quasi involontario e problematico «accostamento» alla religione cattolica determinato dal matrimonio con Giacinta Giovagnoli,
   Nella storia del cammino di Papini verso la fede lo «sposalizio» e l'incontro col gruppo modernista acquistano una rilevante importanza che trascende il dato puramente biografico: «Nella storia della [mia] anima il ritorno a Cristo era stato preceduto, molti anni prima, da un altro ritorno, o meglio, da una volontà di tornare al Vangelo e a Dio. La filosofia, per me, doveva essere ricerca e esercizio di potenza spirituale,


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non tessitura di concetti, cincischiamento di parole, tetralogia di sistemi. [...] Nello stesso tempo cominciarono a rumoreggiare i cosidetti 'modernisti', i quali offrivano ai malati di critica e ai cristiani tentati dalla concupiscenza del dubbio un ponte largo e ben lastricato sul quale potevan passare comodamente i fedeli per fare un po' di compagnia a qualche demonio addomesticato e i demonici per venire a rinfrancarsi all'ombre benefiche della fede» 72.
   Insomma «quell'apertura offerta al mio sazio pirronismo per inserirmi quasi a tradimento... fin nel cuore deI Cristianesimo» parve a Papini «una mezza fortuna, da non lasciare scappare» 73.
   In più Papini sembra dare significativa importanza ad un episodio che finisce per apparire l'elemento sviante del cammino giovanile di ricerca verso la fede. Proprio uno dei modernisti «a me che una sera gli dicevo, in una strada di Milano, che ormai per dirmi cattolico mi mancava soltanto la persuasione della divinità di Gesù, invece di rallegrarmi come m'aspettavo e d'incuorarmi a far l'ultimo salto, pacatamente rispose che decisioni di quel genere son tanto gravi ch'è meglio prender tempo e pensarci e riperisarci e ripensarci poi. Forse aveva ragione; ma forse quelle sue parole mi rattennero anche troppo, forse feci male a farmi intiepidire da quel consiglio, forse se mi avesse soccorso meglio mi sarei trascinato ai piedi della Croce più di dieci anni prima e mi sarei risparmiato chissà quanti errori, o forse è stata la volontà di Iddio ch'io mi ingaglioffassi in tutti i vicoli ciechi del male perché dopo, tornando sulla via regia dell'Evangelo, non avessi più mai a lasciarla» 74.
   Papini sembra quindi assegnare all'incontro con la problematica religiosa modernista ed al pacato, «tiepido» e rattenuto atteggiamento di «un di loro, ch'era insieme galantuomo e gentiluomo» 75 la responsabilità di un'occasione perduta, di un incontro mancato.
   Nella Presentazione de La Seconda Nascita l'elemento di «continuità» rispetto ad Un pomo finito viene sottolineato non solo negli elementi formali, ma in quanto le resultanti estreme delle « confessioni » appaiono unite « attraverso il passaggio della conversione » 76: «l'umana esperienza, rimasta, per così dire, interrotta nel libro che aveva chiuso la gioventù, trovava il suo compimento nella pace consapevole della verità cristiana» 77. Così che Papini, ne La Seconda Nascita, ritorna, nota


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l'Isnenghi su «quelle stagioni convulse, quella dissipazione inquieta e tumultuosa d'energie spirituali» ma rivisitandole «dalle lontananze d'una ormai riconquistata certezza» 78.
   Una attenta verifica delle linee interne sulle quali si venne ad articolare il momento di problematica tensione religiosa, proprio negli anni della collaborazione di Papini a «Il Rinnovamento», permette di guardare alla conversione come termine ultimo e decisivo di una «riconquista», sofferta e pur non lineare, delle giovanili esigenze religiose.
   In tal modo, tenendo presente il carattere di «rivisitazione», ne La Seconda Nascita, dell'irrequieto passato, è possibile cogliere, attraverso una adeguata compenetrazione con le pagine di Un Uomo finito, il significato e la portata delle istanze che erano al fondo della ricerca di fede papiniana e metter luce sul mancato incontro con quella «certezza» che Papini raggiungerà solo dopo la guerra.
   La fisionomia de «Il Rinnovamento» («tribuna aperta alle voci più significative e disparate della cultura religiosa del tempo » 79), la molteplicità degli interessi e la presenza «di esponenti illustri della cultura europea» 80 spingono Papini, ormai al termine dell'esperienza leonardiana, verso l'incontro con l'ambiente casatiano che va ben al di là della collaborazione a «Il Rinnovamento». Ne è testimonianza l'improvvisa decisione, nel gennaio del 1908, di lasciare Firenze per risiedere per «qualche tempo» 81 a Milano. Del resto il numero unico del «Il Commento» 82 mostra come Papini guardi con interesse al fervido ambiente milanese; ma la partecipazione diretta alle vicende del modernismo milanese si configura in Papini nelle pagine de La Seconda Nascita, non occasionale episodio di impegno culturale, bensì momento di massima tensione delle esigenze religiose avvertite dall'ex leonardiano sia sul piano intellettuale e filosofico sia pure sul piano apparentemente «esterno», sul quale aveva profondamente agito l'incontro con Giacinta ed il matrimonio religioso.
   Lo stretto rapporto instaurato con gli amici milanesi conduce Papini ad avvicinarsi in qualche modo al tema centrale ed unificante del foglio modernista: il primato della coscienza «caro alla tradizione cattolico liberale» 83 e dominante «nelle nuove correnti del pensiero religioso» 84.


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Infatti in La religione sta da sé, pubblicato ne «Il Rinnovamento» nel 1908, Papini riconosce come «il movimento modernista si affatica a creare un'apologetica che non debba niente all'aristotelismo medioevale, ma sgorga dalla pienezza della coscienza religiosa e morale dell'uomo» 85.
   Per evidenziare il diversificarsi effettivo del recupero papiniano operato all'interno delle tematiche moderniste, va però ricordato e sottolineato che il primato della coscienza si prospetta nelle pagine de «Il Rinnovamento», e nell'intimo delle coscienze stesse dei lombardi, come elemento determinante di un accrescimento e di un rinnovamento appunto del proprio essere cattolici, delle personali e vissute scelte di fede.
   Appare sufficente a questo proposito ricordare quanto dichiarava la redazione della rivista, rispondendo al decreto di condanna del 1907: «Per noi, educati al cattolicismo, la coscienza resta l'apprensione indi viduale della legge naturale posta da Dio in tutte le cose create. Secondo le grandi parole del Newmann, dette appunto in materia di rapporti con l'autorità, 'la coscienza è il vicario aborigeno di Cristo, un profeta nelle sue informazioni, un monarca nei suoi decreti, un sacerdote nelle sue benedizioni e nei suoi anatemi'» 86.
   La redazione nel sottolineare «con acume, la differenza di questa concezione da quella protestante» 87
mostra come essa si concili con gli elementi fondamentali della fede cattolica, che è vita nella Chiesa attraverso «la dottrina e il sacramento»: nella religione protestante «l'autonomia della coscienza è piena, senza restrizioni; il giudizio privato è la guida odinaria di tutta la vita religiosa, che dall'esterno può trarre piuttosto ispirazione che norme di condotta [...] per noi invece l'atto normale della vita religiosa è l'educazione della coscienza alla vita della Chiesa; attraverso l'adesione a questa, epperò la sommissione all'autorità, l'individuo è messo a parte di tutti i mezzi di vita spirituale di cui dispone la società religiosa: dottrina e sacramenti; e nell'obbedienza ottiene la libertà vera. Ma la coscienza resta sempre il soggetto obbediente; è per lei e per i suoi giudizi primi ed elementari che ha valore la nostra accettazione della Chiesa con le sue norme e le sue limitazioni convenienti» 88.
   Le pagine dello Scoppola chiariscono lucidamente i presupposti teorici e la conformazione del nucleo centrale della problematica modernista, elemento primario della frizione con le autorità ecclesiastiche: qui interessa sottolineare come l'affermazione del momento soggettivo,


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il ruolo determinante assunto dalla coscienza nella complessità della vita religiosa,, agisca da stimolo nella riflessione problematica del giovane Papini, ma come al tempo stesso egli raccolga solo in parte i temi centrali del modernismo lombardo, nella misura in cui essi possono in qualche modo assecondare le esigenze volontaristiche di «apostolato morale e filosofico» nitidamente radiografate in Un uomo finito.
   Nella struttura «sinfonica» di quest'opera la «conquista della divinità» è il punto culminante nell'articolazione dei capitoli, il momento di massima potenza del movimento «solenne»: Papini, ripercorrendo le tappe dell'esperienza giovanile, è giunto ormai ad una chiara consapevolezza di quella che si configura come prospettiva centrale della sua inquieta ricerca: «non ritardare l'adempimento e la conclusione» 89 di quel che «dovevo essere: un santo, una guida, un semidio» 90. Ma gli appare allora necessario dover «rientrare anch'io a dispetto del mio altezzoso spregio per il passato, in una qualche tradizione; affidarmi agli altrui insegnamenti, approfittare delle vecchie esperienze» 91.
   Il «bisogno di credere, di tornar fanciullo» 92 confessato in Un Uomo finito diviene atteggiamento dominante, come intima e sofferta disponibilità «verso la grazia di un'illuminazione» 93, nelle pagine del '23 incentrate su «lo sposalizio». Ma certo nell'8 finì per prevalere (anche come inevitabile conseguenza del suo atteggiamento intellettuale protego a costruire, con le dovute premesse filosofiche, volontaristicamente, un Papini guida spirituale «della palingenesi del genere umano» 94) quella filosofia come «ricerca ed esercizio di potenza spirituale» 95 appena ricordata nelle pagine de La Seconda Nascita: la «volontà di credere.» 96 conduce Papini «verso il Cristianesimo, verso il Cattolicesimo» 97 attraverso però un cammino non disponibile alla rinunzia del suo atteggiamento di fondo e fedele alla conformazione intellettualistica, che risente ancora lo stimolo del trascorso pragmatismo: «avevo riletto i Vangeli per cercarvi Cristo» 98, «ormai per dirmi cattolico mi mancava soltanto la persuasione della divinità di Gesù» 99.


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   La tentata conquista della divinità svela un Papini non a caso in sintonia interiore con i «mistici e moderni» 100, «gli speculativi e sensuali» 101 nei quali «trovavo qualcosa che si confaceva al mio caso: elevazione, sperdimento nell'essere, abbandono, speranze di più alte sorti» 102. Una «riconferma», in fondo, della scelta individualistica ed esaltativa del proprio essere, un rispecchiamento sottile, ma ricco di premesse, in «quel corpo mistico che aveva dato al mondo tanti capolavori di anime e di opere» 103. L'orgogliosa, ampiamente motivata, autoesaltazione conduce Papini ad una lettura attenta dei testi di alcuni «grandi» spiriti della Chiesa, in cui egli cerca di ritrovare piuttosto che l'afflato religioso e la tensione di fede, gli accenti più vistosi della sua personalità. Così Papini rifiuta coloro i quali «guidavano verso le altezze rarefatte del più astratto amore ma volevano ch'io rinunciassi a ogni conoscenza, alla mia coscienza, alla mia persona. M'invitavano all'inabissamento, alla fusione, ma non già nel mobile oceano dei particolari bensì nell'indefinita indeterminatezza di Dio» 104. La scelta risolutiva verso quella che Papini in una importante lettera a Prezzolini definirà «dottrina di umiltà e d'amore» 105 sembra allora «troppo mortificante per il mio orgoglio» 106: «io non potevo, non volevo rinunziare a me stesso» 107. Dove è anche chiara la portata del distacco di fondo, o il limite della singolare riassunzione, del tema modernista relativo al «primato della coscienza», che non é orgogliosa affermazione individualistica, quanto piuttosto problematico e riflessivo scavo delle segrete ed interiori esigenze di fede.
   Gli articoli di Papini pubblicati ne «Il Rinnovamento» 108 mostrano come l'interesse verso problematiche religiose, soprattutto sul piano filosofico, sia estremamente vivo e ben documentato, ma finisca per restare lontano, anche in questo caso, dal nucleo teorico su cui si fonda la ricerca del gruppo milanese in questo «settore». L'opera della rivista


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«ruota attorno al motivo della rivendicazione del momento soggettivo, nella ricerca e nel pensiero umano, per mostrarne la conciliabilità ai valori più profondi della fede cristiana» 109, favorendo la possibilità di comporre «tutte le posizioni della filosofia moderna, soggettivistica, postkantiana con la fede nella trascendenza di Dio e nella rivelazione» 110.
   Ora l'epistolario testimonia con evidenza quanto l'articolo più organico pubblicato da Papini nel foglio milanese, La religione sta da sé, anche se rispondente alla fisionomia de «Il Rinnovamento», aperta al dibattito su religione e filosofia, ricerca scientifica e ricerca religiosa, sia stato determinato dalla già, sperimentata «verve» anti-idealistica ed antiacrociana di Papini: «Hai visto Croce e Gentile alla carica, uno contro la religione (alla quale disconosce una vera autonomia nella vita spirituale, riducendola a una 'brutta copia' della filosofia) e l'altro contro modernisti? Ti confesso però che alcune osservazioni del Gentile (quelle, ad esempio, sul Loisy e la storia) mi son parse buone e tali da poter produrre qualche mutazione nel vostro atteggiamento. Ma Croce colla sua aria sicura di conquistatore filosofico dell'Italia andrebbe rimesso un po' in carreggiata. Gli ostacoli di Varisco non bastano. Se tu hai sempre intenzione di affidarlo alle mie cure mandami i documenti necessari e farò l'articolo con gran piacere» 111.
   Nel ripubblicare in Polemiche religiose 112 il circostanziato articolo apparso ne «Il Rinnovamento», Papini dichiara come esso fosse nato per «combattere coloro che fanno della religione un grado inferiore della filosofia» 113: sotto questa angolazione la ben calibrata polemica era senza dubbio in sintonia con la problematica filosofica espressa nelle pagine della rivista modernista 114. In più l'articolo, incentrandosi, nella parte iniziale, sul tema del contenuto dello spirito teoretico, concorreva a ribattere, oltre che il concetto di religione, anche quello più ampio della filosofia prospettato dagli idealisti e raccolto da Prezzolini nella replica a Papini comparsa proprio sulle pagine de «Il Rinnovamento» 115.


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Oltre a segnare un punto significativo dell'esperienza filosofica di Papini, La religione sta da sé si presta indubbiamente ad essere considerato, come il momento di maggiore avvicinamento di Papini, sotto lo stimolo filosofico, alla «soluzione» della tensione e della ricerca religiosa che lo animava in quegli anni.
   Una serie di evidenti e «fruibili» possibilità sul piano intellettuale vennero dunque offerte dal movimento riformatore milanese al giovane Papini: i capitoli centrale de La seconda nascita mostrano come il cammino di riconquista di quel «primo incontro fallito» 116, pervenga alla soluzione definitiva nel momento in cui mutano sia i presupposti di fondo sui quali per più di dieci anni si è articolata l'esperienza intellettuale del nostro, sia soprattutto, sul piano più interno, la disposizione intima dell'inquieto «cercatore» 117.
   In una suggestiva lettera a Casati del 1920, Papini, nell'annunziare all'amico la. conversione, si lega al filo della memoria con maggiore serenità rispetto alle pagine de La seconda nascita, svelando l'itinerario segreto della sua anima: «In questi tempi quante volte ho desiderato rivederti! Mi pare, oggi, di esserti tanto più vicino! Ti ricordi quando un giorno, in via Torino, nel tempo che leggevo gli Ev.[angeli] Sy[noptici] del Loisy che mi avevi prestato, ti dissi che poco, oramai, mi separava da Cristo? Tu mi rispondesti che a certe cose bisognava pensar molto, prima di prendere una decisione. Ed io non scordai quelle parole. Ma più che pensarci mi sono allontanato, ho cercato altre guide, altre gioie, altre esperienze. Ho sbagliato, spesso, ma i miei sbagli,


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più che da malizia o da interesse, nascevano dall'ingenuità, dall'andare verso il nuovo.
   Oggi mi sembra di aver percorso il ciclo delle tappe possibili e son tornato, durante l'oppressiva angoscia della guerra, a leggere il Vangelo. E Cristo mi ha ripreso e, questa volta, spero, per non lasciarmi più andare. Da più di un anno sto lavorando intorno alla sua vita, colla speranza di dare all'Italia una vita di Gesù che non sia tritume filosofico, sentimentalità scettica e dilettante, e tanto meno banalità da seminario. Sto scrivendo quassù gli ultimi capitoli, con gran pena, ma non senza qualche consolazione. Quando ho pensato ai miei lettori ho pensato anche a te, fra i primi. E forse, dopo aver letto questo libro, mi vorrai un po' più di bene» 118.


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